T R A C K S
Mostra personale di Jessica Ferro
a cura di Angela Barbera
| La Casa di Barbara |
* dal 28 gennaio al 28 febbraio 2017
"Studente all’Accademia di Belle Arti di Bologna, due anni fa, ero alla ricerca di artisti per una mostra collettiva che avrebbe fatto parte della mia tesi di biennio: conobbi cosi Jessica Ferro, unica tra gli artisti delle classi di pittura riuscita a scalfire la mia diffidenza nei confronti di questo mezzo come
linguaggio espressivo contemporaneo. Il lavoro di Jessica mi ha dato dimostrazione del fatto che la pittura possa ancora dare contributi interessanti all’arte contemporanea e che essa si perpetui ancora oggi in coloro che hanno il coraggio di confrontarsi con tutto il peso della sua storia e della sua critica, nonché con i limiti della sua bidimensionalità. In un’epoca in cui l’arte si é espansa in tutte le dimensioni possibili, fino addirittura a smaterializzarsi nelle performance al buio e senza documentazione di Tino Sehgal, riuscire ad agire all’interno delle due dimensioni della pittura e a trarne lo spazio necessario per spingersi oltre i confini del già fatto mi sembra un atto quasi eroico.
Jessica Ferro, nonostante, ma forse anche grazie alla sua giovane età, é riuscita a trovare lo spiraglio attraverso il quale oltrepassare quelle due dimensioni, creando lo spazio per un universo poetico originale e per sperimentazioni tecniche personalissime. Ci é riuscita con la tenacia di chi sa ricercare nuove tecniche e con la determinazione di chi vuole spingersi oltre per poter affermare qualcosa di nuovo, di suo. Già nelle sue prime tele dimostra la maturità per confrontarsi con grandi formati riuscendo a trasferire sulla superficie pittorica luce, profondità, colore, atmosfere senza essere banalmente figurativa né osticamente informale.
Le opere che presenta in occasione della mostra Tracks, tutti monotipi su carta, sono frutto di un’ulteriore sfida al suo medium, di una volontà di superamento delle potenzialità pittoriche espresse su tela. Il proposito è quello di rinunciare alla pennellata diretta per sperimentare su un supporto da incidere il segno diretto, l’impronta, la traccia appunto. In queste opere, pur restando fedele al cardine della sua poetica, ovvero l’osservazione di quelle che lei chiama le cose della natura, citando Ulisse Aldrovandi, riesce ad emancipare ancora di più l’immagine dal suo referente, il segno dal significato e ad affermare con più forza il suo gesto artistico.
L’artista trae i soggetti delle sue opere dai suoi studi di entomologia e malacologia: le immagini incise sulle matrici che danno vita ai monotipi provengono da enciclopedie e illustrazioni scientifiche oltre che dall’osservazione diretta di insetti, conchiglie e fossili, per poi essere trasfigurate nelle stampe finali. Il mezzo della stampa viene usato impropriamente e sovvertito da Jessica che lo usa non per produrre esemplari in serie di uno stesso soggetto, ma perché affascinata dalla possibilità di trasfigurazione che la matrice può subire attraverso successioni di impressioni. L’artista é piuttosto interessata alle differenziazioni assunte dagli esemplari ottenuti dalla rielaborazione di una matrice posta sotto la pressione di un corpo, fino ad arrivare ad un punto in cui il riferimento ad essa non è più visivamente riconoscibile. Nelle sue intenzioni, l’impressione restituisce qualcosa di superiore rispetto alla tradizionale dimensione espressiva della pennellata diretta, suggerendo tutto un complesso portato del vissuto inconscio dell’immagine e dei suoi significati.
Ad ispirare Jessica in questo percorso artistico é una frase di Adalgisa Lugli, grande studiosa del rapporto tra l’arte e la natura, che dice: «Credo che il fondamento operante sia per l’artista proprio quello della trasfigurazione, cioè la capacità di trasfigurazione fantastica è l’elemento primo dal quale si può partire, e che serve a leggere e a rileggere la realtà e a creare questi oggetti».
Il titolo Tracks infatti, non si riferisce semplicemente alla tecnica con cui le opere in mostra sono realizzate, ma bensì è in stretta relazione con il fulcro della poetica di Jessica, ovvero la possibilità di conoscere la natura attraverso la capacità di trasfigurazione dell’artista, che ne mette in risalto gli aspetti più microscopici per esaltarne i valori estetici e sensoriali e suscitare la meraviglia di una visione mai sperimentata.
Il termine tracking, in inglese, si riferisce proprio alla disciplina che studia gli animali e il loro ambiente tramite l’osservazione delle tracce organiche e non che essi lasciano nel loro habitat. Con gli ingrandimenti macroscopici impressi sulle sue opere, Jessica Ferro ci conduce, proprio come un tracker, in un sentiero di ricerca alla scoperta di una conoscenza più profonda, oltre l’apparenza e la superficie stessa delle cose. Le caratteristiche morfologiche più impercettibili all’occhio umano di insetti e conchiglie diventano protagoniste della superficie pittorica per suscitare in chi le guarda lo stupore di una scoperta al microscopio. Tra le citazioni preferite di Jessica c’é infatti quella di Georges Didi-Huberman: « Soltanto ciò che all'inizio fu capace di dissimularsi può apparire. Le cose di cui cogliamo subito l'aspetto, quelle che somigliano, tranquillamente, non appaiono mai ».
Troviamo in lei l’intenzione di suscitare nella coscienza di chi guarda spirito di osservazione, da cui possa scaturire partecipazione emotiva e pensiero critico, quindi consapevolezza, tutti aspetti della conoscenza che risultano assopiti nella società dell’informazione contemporanea.
Per concludere, direi che a colpire particolarmente di Jessica Ferro é la maturità della sua ricerca rispetto alla sua età, ventiquattro anni : le auguro di trovare sempre dentro di se l’energia creativa per continuare a sperimentare e sovvertire media diversi e cosi spingere sempre oltre i confini della sua pittura, contribuendo all’evoluzione di questo mezzo espressivo.
Nel sistema dell’arte contemporanea non é raro sentir dire che la pittura, cosi come il rock ormai da decenni, sia morta. E proprio come la morte del rock viene di volta in volta collocata in momenti storici diversi, secondo il punto di vista più o meno nostalgico del critico musicale di turno, la morte della pittura spazia addirittura di secoli : dalla nascita della fotografia nel XIX secolo, alle Avanguardie e Neoavanguardie del XX secolo, fino alla Transavanguardia degli anni Ottanta, che prelude al XXI secolo. Esiste, insomma, un certo luogo comune per cui la pittura, come il rock appunto, sia qualcosa di superato, da ultimi romantici, epigoni di un linguaggio ormai esaurito che nessuno riesce più a rinnovare con risultati interessanti. Io credo che la pittura, cosi come il rock, non sia morta, ma che continui a resistere in forme diverse in coloro, effettivamente pochi, che stoicamente, direi, decidono ancora di avvicinarsi a questo mezzo espressivo e di confrontarsi con il peso di tutta la sua storia. Semmai, si potrebbe obiettare che queste due forme espressive rispetto al passato abbiano oggi un’evoluzione più lenta, dovuta al sopraggiungere di nuovi linguaggi e media che attraggono le nuove generazioni di artisti e le loro capacità di innovazione.
Personalmente, provo una certa ammirazione per pittori e rockers, suscitata appunto dal coraggio che credo ci voglia per fare proprio un linguaggio attraverso il quale pare tutto sia stato detto e fatto e che stuoli di storici e critici, spesso afferenti alla categoria dei soliti nostalgici, hanno consegnato alla storia e ai musei decretando episodi apicali e insuperabili. Credo che alla fine la morte di un linguaggio sia decretata piuttosto da coloro che consacrano alla storia determinai episodi, evirando e frustrando ogni possibilità di superamento di un dato risultato."
- Angela Barbera