"L'orlo sottile delle forme"
Tobia Donà
Lacca di cocciniglia, vermiglione, lacca di robbia e di garanza. Sono i materiali utilizzati da Jessica Ferro che, unitamente a tecniche antiche quali la monotipia, la xilografia e la gipsografia, testimoniano il vigore inventivo della sua pittura. Una tecnica che porta ad un risultato quasi totalmente monocromatico, come lo sono i vari tipi d’incisione, come lo è il disegno grafico che Leon Battista Alberti definiva “circoscrizione”, ossia l’orlo sottile delle forme.
Ascoltando le voci del nostro tempo, ma con un linguaggio legato alla tradizione, Jessica prende le mosse da spunti naturalistici che vengono via via trasfigurati in un una sintesi di soggettività e oggettività. Su di uno sfondo, preparato con aloni di pigmenti vegetali, ella rappresenta grandi conchiglie, registrandone i particolari più minimi. Si tratta di gasteropodi presenti sulla terra da ben dieci milioni di anni, grazie ad una continua sequenza di mutazioni anatomiche.
La loro immagine è ottenuta imprimendo fisicamente sulla tela, con più o meno forza, una matrice precedentemente incisa o scolpita. Un’azione che comporta tempi diversi, pause e sedimentazioni. <<Poi mi accorgo che anche il solo incidere - afferma l’artista - diventa una sorta di rituale, in questo lungo procedimento>>. Una pittura la sua, sperimentata “in cavo”, segnata e scalfita su un materiale prima ancora di essere immagine, come a voler ripercorrere la storia a ritroso. La preparazione delle matrici diviene quindi un rito, rimando evidente al graffito rupestre. Un gesto propiziatorio connesso intrinsecamente alla sopravvivenza che pone l’artista a debita distanza dall’opera finita, permettendole di trovare il proprio spazio di intervento e di riflessione. Un rituale che sembra volto a comprendere la logica di ciascuna forma, di ogni limite e contorno. Tutto ciò cattura il nostro sguardo e provoca il piacere di perdersi attivamente nell’osservazione delle fragili curve, nell’intricato groviglio di linee e nei solidi rilievi
.
Una sospesa interruzione del flusso temporale è data dalla fissità dell’oggetto rappresentato, avvolto nell’allargarsi del campo visivo, imprigionato delicatamente nella trama e nell’ordito della tela, bloccato come un fossile incastonato nella roccia. Oltre alle conchiglie marine, emergono in superfice frammenti d’insetti, esoscheletri fossili. Ogni elemento è rappresentativo e richiama, rievoca o meglio rappresenta qualcos’altro. Un rimando all’estraneità, alla solitudine, ma anche al lavoro creativo, poiché è da un’idiosincrasia, da un fastidio, da un “tarlo”, che nasce il fare artistico.
Mare e terra, organico e inorganico, le opere di Jessica Ferro si collocano così tra una pittura di rara poesia e il rigore disincantato dell’arte concettuale. Come nella ripetizione di un frattale, lo specifico dettaglio rimanda direttamente a una visione più ampia, dilatata, non meno astratta del dettaglio stesso. E quando insetti, conchiglie, sembrano essere inghiottiti definitivamente dallo sfondo, in realtà è il momento in cui la loro verità acquista il massimo valore. Una visione umana impressionata nella fisicità dell’elemento naturale attraverso un percorso di neutralizzazione o forse di sublimazione il cui equilibrio non è legato a leggi fisiche, ma piuttosto a una strategia genetica la cui logica accomuna e unisce tutti gli esseri viventi. Un riferimento alla bellezza immateriale più che all’oggetto rappresentato.
Con un’impronta impressa con forza sulla tela, sintesi oscillante tra il passato ed il presente, l’artista passa da ciò che è visivamente riconoscibile a ciò che è spirituale, offrendoci una redenzione implicita, quasi a sottolineare che esiste una relazione tra le cose, indipendentemente dalla loro natura e dalla nostra conoscenza.
- Tobia Donà
Ascoltando le voci del nostro tempo, ma con un linguaggio legato alla tradizione, Jessica prende le mosse da spunti naturalistici che vengono via via trasfigurati in un una sintesi di soggettività e oggettività. Su di uno sfondo, preparato con aloni di pigmenti vegetali, ella rappresenta grandi conchiglie, registrandone i particolari più minimi. Si tratta di gasteropodi presenti sulla terra da ben dieci milioni di anni, grazie ad una continua sequenza di mutazioni anatomiche.
La loro immagine è ottenuta imprimendo fisicamente sulla tela, con più o meno forza, una matrice precedentemente incisa o scolpita. Un’azione che comporta tempi diversi, pause e sedimentazioni. <<Poi mi accorgo che anche il solo incidere - afferma l’artista - diventa una sorta di rituale, in questo lungo procedimento>>. Una pittura la sua, sperimentata “in cavo”, segnata e scalfita su un materiale prima ancora di essere immagine, come a voler ripercorrere la storia a ritroso. La preparazione delle matrici diviene quindi un rito, rimando evidente al graffito rupestre. Un gesto propiziatorio connesso intrinsecamente alla sopravvivenza che pone l’artista a debita distanza dall’opera finita, permettendole di trovare il proprio spazio di intervento e di riflessione. Un rituale che sembra volto a comprendere la logica di ciascuna forma, di ogni limite e contorno. Tutto ciò cattura il nostro sguardo e provoca il piacere di perdersi attivamente nell’osservazione delle fragili curve, nell’intricato groviglio di linee e nei solidi rilievi
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Una sospesa interruzione del flusso temporale è data dalla fissità dell’oggetto rappresentato, avvolto nell’allargarsi del campo visivo, imprigionato delicatamente nella trama e nell’ordito della tela, bloccato come un fossile incastonato nella roccia. Oltre alle conchiglie marine, emergono in superfice frammenti d’insetti, esoscheletri fossili. Ogni elemento è rappresentativo e richiama, rievoca o meglio rappresenta qualcos’altro. Un rimando all’estraneità, alla solitudine, ma anche al lavoro creativo, poiché è da un’idiosincrasia, da un fastidio, da un “tarlo”, che nasce il fare artistico.
Mare e terra, organico e inorganico, le opere di Jessica Ferro si collocano così tra una pittura di rara poesia e il rigore disincantato dell’arte concettuale. Come nella ripetizione di un frattale, lo specifico dettaglio rimanda direttamente a una visione più ampia, dilatata, non meno astratta del dettaglio stesso. E quando insetti, conchiglie, sembrano essere inghiottiti definitivamente dallo sfondo, in realtà è il momento in cui la loro verità acquista il massimo valore. Una visione umana impressionata nella fisicità dell’elemento naturale attraverso un percorso di neutralizzazione o forse di sublimazione il cui equilibrio non è legato a leggi fisiche, ma piuttosto a una strategia genetica la cui logica accomuna e unisce tutti gli esseri viventi. Un riferimento alla bellezza immateriale più che all’oggetto rappresentato.
Con un’impronta impressa con forza sulla tela, sintesi oscillante tra il passato ed il presente, l’artista passa da ciò che è visivamente riconoscibile a ciò che è spirituale, offrendoci una redenzione implicita, quasi a sottolineare che esiste una relazione tra le cose, indipendentemente dalla loro natura e dalla nostra conoscenza.
- Tobia Donà
testo pubblicato per il catalogo "I vincitori a palazzo Rasponi delle Teste" - Premio Marina di Ravenna 2015